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Le fragranze preferite dagli antichi romani

Scritto da : Redazione / Il : 05/10/2020 /

Sebbene ci più di 1500 anni ci separino dalla caduta dell'impero romano, è sorprendente scoprire quanto gli antichi romani fossero simili a noi, tra le altre cose, anche nell'utilizzo del profumo che, all'epoca così come oggi, era utilizzato sia dagli uomini che dalle donne di tutte le classi sociali. Scopriamo insieme il rapporto col profumo dei nostri avi

L’uso delle fragranze da parte degli esseri umani è molto antico. I primi tentativi di produrre profumi risalgono a epoche remote, ma furono i greci e i romani a far raggiungere a quest’arte una delle sue massime espressioni. In passato, per ottenere degli unguenti profumati, gli aromi venivano fissati con sostanze cremose o grasse, mentre l’uso dell’alcol come base si sarebbe diffuso solo a partire dal XIV secolo.
Il profumo era composto da due elementi. C’era innanzitutto la parte liquida, costituita da una sostanza grassa che aveva il compito di amalgamare e conservare le fragranze. Si trattava di un olio vegetale, generalmente d’oliva, ma anche di sesamo o di lino. Gli oli più grassi – come quello di mandorle – avevano una capacità maggiore di trattenere gli odori. A questa base si potevano aggiungere dei conservanti e dei coloranti, come il cinabro o l’ancusa. Il secondo elemento era rappresentato dalle essenze: piante, fiori, radici o resine che venivano uniti all’olio per conferirgli l’odore caratteristico. Il repertorio degli aromi era molto ampio, anche se a dominare era il profumo delle rose. Tra le altre sostanze utilizzate c’erano la mirra, la cannella, lo zafferano, il nardo, il narciso o il cotogno.
Le formule per l’elaborazione dei profumi, nelle loro differenti varietà e qualità, potevano essere molto complesse. Plinio riporta gli ingredienti di una ricetta composta da olio di mandorle amare, agresto, cardamomo, giunco profumato, calamo aromatico, miele, vino, mirra, seme di balsamo, galbano e, per finire, resina di terebinto. Nel suo De materia medica Dioscoride specifica anche le quantità di ogni ingrediente, come i mille petali di rosa che, secondo lui, erano necessari per ottenere il profumo di tale pianta.

Profumi: un'arte anche maschile

Nell’antica Roma si profumavano tutti, ma uomini e donne usavano aromi diversi (come in effetti succede anche oggi). il poeta Marziale afferma in uno dei suoi epigrammi: «I balsami mi affascinano, sono veri profumi maschili. Donne, odorate pure delle dolci fragranze di Cosmo [famoso profumiere dell’epoca]».
Molti testi indicano chiaramente che profumarsi era una consuetudine diffusa tra entrambi i sessi. «Mica tutti possono odorare di unguenti esotici come te» dice Grumione a Tranione – entrambi personaggi maschili – nella Mostellaria di Plauto. Si narra che Nerone amasse cospargersi le piante dei piedi di profumo, e Svetonio riporta che l’imperatore aveva introdotto un curioso metodo per profumare la Domus Aurea, il suo lussuoso palazzo romano: «I soffitti delle sale per i banchetti erano costituiti da tasselli di avorio mobili e perforati, che permettevano di spargere fiori e profumi sui convitati».
Le tipologie di fragranze variavano naturalmente a seconda delle classi sociali. I plebei utilizzavano profumi scadenti o adulterati, elaborati a partire da oli di bassa qualità (per esempio quello di olive verdi o di ricino) e aromatizzati con piante come il giunco odoroso. Era questo il caso delle prostitute. Adelfasia, un personaggio del Poenulus di Plauto, dice alla sorella: «Vuoi forse mescolarti a quelle prostitute […] di bassa lega, miserabili straccione che si profumano con unguenti da quattro soldi?». Nulla a che vedere con i profumi destinati alle élite, che erano più densi, venivano aromatizzati con prodotti esotici e potevano arrivare a costare cifre astronomiche e che per questo, in alcuni casi, fecero storcere il naso a filosofi e intellettuali che predicavano costumi più sobri e frugali. L’uso dei profumi era infatti molto criticato dai moralisti. Nell’Atene di Solone furono vietati per legge. Gli spartani, noti per i loro costumi austeri, espulsero dai loro territori i mercanti di unguenti. Ricorda lo stoico Seneca in una delle sue opere: «I lacedemoni (altro nome per indicare gli spartani) scacciarono dalla città i venditori di profumi e gli ordinarono di uscire in fretta dai loro confini, accusandoli di sprecare l’olio».
L’utilizzo delle fragranze costituiva una frivolezza imperdonabile anche per la maggior parte dei filosofi latini così come per alcuni imperatori. Nelle Vite dei Cesari Svetonio racconta che l’imperatore Vespasiano, «quando un giovane cui aveva concesso la carica di prefetto venne a ringraziarlo, tutto profumato, fece un cenno di disprezzo e gli disse severamente: “Avrei preferito che puzzassi di aglio!”, quindi gli revocò la nomina».
Tuttavia in certi contesti i profumi erano perfettamente accettati. Per esempio l’uso di oli aromatizzati nel mondo dello sport è attestato fin dall’epoca omerica. A Roma gli atleti che andavano ad allenarsi alle terme portavano generalmente con sé gli unguentari, dei recipienti con i preziosi oli che si spalmavano addosso prima dell’esercizio e poi rimuovevano con una specie di raschietto di ferro o bronzo (lo strigile).

Chi creava i profumi durante l'impero romano

E se imperatori, matrone Patrizi e persino i soldati amavano cospargersi il corpo, i vestiti e i capelli di sostanze odorose, chi erano questi grandi artigiani che davano vita a tutto questo? Nell’antica Roma non esistevano ancora i Maestri Profumieri, i nasi artistici come li conosciamo oggi.
La creazione di questi ornamenti era appannaggio di chi poteva permettersi di “giocare” con le materie prime. Ogni unguento veniva creato in base alla disponibilità degli ingredienti, che mutavano a seconda delle conquiste dell’esercito romano, e dei carichi che sbarcavano nei porti dell’Impero. In base al ceto sociale cambiavano il tipo di olio, la sua ricercatezza e purezza.
Quello del maestro unguentario non fu un ruolo esclusivamente maschile. Le fonti storiche confermano che anche le donne erano addette all’arte profumiera con due esempi molto famosi.
Il primo viene da Pompei, dalla Casa dei Vettii, dove è presente un meraviglioso affresco di alcuni putti che lavorano queste sostanze, e una Ninfa intenta a travasare le profumazioni da una botte a delle piccole ampolle.
L’altro affresco famoso si trova a Roma, all’interno di Villa Farnesina. Qui si può ammirare una fanciulla seduta su uno sgabello che, appunto, travasa in una boccetta un olio profumato. Ciò nonostante, non è possibile parlare di vera arte del profumo, o almeno non come la intendiamo oggi.

Quanto costavano i profumi nell'antica Roma

Dare il prezzo ad un singolo profumo non è facile. Anche perché, oltre alla creazione dell’essenza stessa, è da considerare parte integrante del costo la bottiglia che lo conteneva. I Romani sono stati dei precursori da questo punto di vista. Le matrone romane ne avevano di fogge diverse, a volte anche in puro oro. Quindi al costo delle materie prime andava sommato quello del contenitore.
Ne esistevano di coccio, vetro, vetro soffiato, alabastro, bronzo, piombo, argento, oro e potevano essere impreziositi da pietre preziose. A forma di sfera, colomba, testa di donna, tubolare, a coppa, piriforme o ovoidale.
Per farci un’idea ancora più precisa della passione per i profumi da parte dei Romani e dei costi che erano disposti a sostenere basta pensare alle storie leggendarie inventate solo per aumentare il prezzo del profumo, come il recupero della cannella in Etiopia. “Per procurarsi questa preziosa materia prima bisognava arrampicarsi su rupi inaccessibili e protetta da nidi costruiti da una Fenice”. Lo stesso Plinio, che ha trascritto questo aneddoto, lo trovava una trovata commerciale per aumentarne il prezzo.
Il profumo più costoso della Roma antica fu probabilmente il “Regale Unguentum“. Ce lo fa supporre un aneddoto che riguarda l’Imperatore Tiberio. Da fonti storiche sappiamo infatti che un giorno in Senato prese la parola per lamentarsi dell’enorme spesa che Roma sosteneva per queste sostanze aromatiche ed esotiche, circa 100 milioni di Sesterzi. Considerando che a Roma un Sesterzio aveva il valore corrente di 6 euro possiamo capire quanto fossero esclusive le profumazioni.


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